lunedì 26 marzo 2012

NERO DA FUNERALE




La battaglia più impegnativa che il teatrante deve affrontare nei teatri parrocchiali è quella per la quadratura neutra (quadratura è l’insieme di quinte, cieli e fondali che costituisce la cornice dello spazio scenico). Ora, proprio perché “neutra”, il colore usato per convenzione è il nero, che assorbe la luce e sparisce alla vista con una corretta illuminazione. Nessun intento funereo, nessuna recondita passione per le tenebre, nessuna volontà di corruzione dei giovani che sono pieni di sole e in mezzo al non-colore si deprimono. Semplice opportunità tecnica. Fate mente locale alle sale della comunità che avete frequentato. Io ricordo quinte celesti, giallo senape, addirittura rosse a balze. Capirete che in questo modo la quadratura fa il contrario della sua funzione: non sparisce.

 
Perché vi parlo di questo? Perché Marietto (ospite – falegname con uno spiccato gusto per la polemica) insiste che il nostro è un teatrino “da funerale”. Da funerale?! E che dovremmo metterci, i fiocchetti? Le bandiere bianche e gialle? Le lampadine intermittenti? Ovviamente l’osservazione pungola un nervo scoperto. Subito mi assalgono caroselli di fasce arcobaleno che avvolgono e soffocano la mia inflessibile professionalità, dando a tutto uno squallido aspetto carnascialesco che banalizza l’alto prodotto delle nostre prove estenuanti. 

Poi  provo a considerare lo scorbutico Marietto come una persona con un  suo parere. Se è vero che una volta in funzione la struttura adempierà perfettamente al suo scopo, è vero pure che, vista così, alla luce del sole, può apparire un po’, diciamo, scuretta. Quindi, dal suo punto di vista, Marietto ha ragione. Fino a prima che si alzi il sipario. 

Come si spiega una convenzione? Una convenzione si capisce facendone esperienza, vivendola più volte, visitandola. Altrimenti la si giudica con i parametri più familiari, che non sono sempre validi. Il teatro è il regno della convenzione. Tutto succede perché ci si è messi d’accordo, perché pubblico e attori scendono a patti fin dal primo ingresso in scena: io so che tu non sei quello che stai rappresentando, ma faccio finta di crederci, perché so che mi farà bene. Per i pessimisti il teatro è il luogo dell’inganno, della finzione. Per gli ottimisti è una palestra dove tenere in esercizio l’elasticità mentale.